“Alcune persone pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono assolutamente d’accordo. Vi assicuro che è molto, molto di più.”
Tra le molte frasi famose di Bill Shankly questa è una delle più citate. Sebbene la frase fosse chiaramente paradossale e pronunciata in un contesto scherzoso, come testimoniato da Ian St. John, essa fotografa perfettamente il legame di totale empatia tra il manager di Glenbuck (Scozia) e la tifoseria.
Nella seconda metà degli anni cinquanta il Liverpool F.C. stava vivendo il periodo peggiore della sua storia. Nel 1954, per la prima volta dopo 61 anni, era arrivata la retrocessione in seconda divisione e come se non bastasse, a dicembre dello stesso anno, il Birmingham City inflisse ai Reds la più pesante sconfitta della loro storia: 9-1 il risultato finale.
Shankly, nominato manager nel dicembre 1959, si trovava ad affrontare una sfida enorme: il club languiva a metà classifica e giocava in uno stadio che cadeva a pezzi con una squadra che di memorabile aveva solo la mediocrità dei propri giocatori.
Per sua fortuna il Liverpool disponeva di uno staff tecnico di prim’ordine, formato da Bob Paisley, Joe Fagan e Reuben Bennett, i quali non aspettavano altro che un catalizzatore come Shankly per esprimere in pieno le loro notevoli capacità. Gli inizi non furono facili, ma con il passare dei mesi Shankly rivoltò il club come un guanto. L’empatia con il popolo Scouse andava intanto manifestandosi in tutta la sua evidenza: un’affluenza di almeno 40.000 persone diventò la regola ad Anfield.
La rinascita fu affidata sul campo ad un agguerrito manipolo di giovani Scozzesi, tra cui spiccava il nome del già citato Ian St. John, il quale divenne ben presto l’idolo della tifoseria, grazie anche ad un hat-trick nella sua partita di esordio contro l’Everton (nella finale della Liverpool Senior Cup), che gli valse il soprannome di “The Saint”.
Il 1962 fu l’anno della resurrezione per i Reds, che tornarono in prima divisione dopo un campionato vinto a mani basse. A quel punto c’era da conquistare la supremazia nella Merseyside ai danni dell’Everton, che stava vivendo anni molto fruttuosi: nella bacheca dei Toffies tra il 1963 e il 1966 erano arrivati una vittoria in campionato, una FA Cup ed un Charity Shield. E’ rimasta famosa un’altra delle battute fulminanti del manager scozzese: ad un barbiere che gli chiedeva cosa dovesse levargli dalla testa, Shankly prontamente rispose: “L’Everton!”. Se la riconquista della First Division aveva richiesto tre anni prima di realizzarsi, il Liverpool ne impiegò uno di meno per riportare nel 1964 il titolo di Campioni d’Inghilterra ad Anfield, il primo dal 1947. La battaglia sportiva tra Reds e Toffies era iniziata: il nome di Liverpool nel mondo cominciò ad essere riconosciuto non solo grazie ai Beatles.
Il campo di allenamento di Melwood, in totale sfacelo nel 1959, era stato nel frattempo trasformato in un centro sportivo di prima classe. Bill Shankly introdusse alcune importanti innovazioni nei metodi di allenamento e di gestione della squadra. Le partitelle cinque contro cinque divennero uno dei punti centrali delle training session. In questo modo il manager trasmetteva ai propri giocatori il proprio credo tecnico-tattico, nato e sviluppatosi nel corso delle partite tra minatori nella nativa Glenbuck: passa e corri, giocala semplice (“Pass and move, keep it simple”). In assoluto anticipo sui tempi, Shankly iniziò ad “allenare” la testa dei propri uomini anche fuori dal campo: la squadra era solita ritrovarsi ad Anfield, dove i giocatori si cambiavano e salivano tutti insieme sul bus che li portava a Melwood. Al termine dell’allenamento, percorso inverso: tutti allo stadio per la doccia. Infine, una volta rivestiti gli abiti borghesi, i Reds si fermavano a mangiare insieme allo staff tecnico.
Questo consentiva un controllo sul comportamento degli atleti dopo l’allenamento, oltre che della loro alimentazione e minimizzava sia il rischio di infortuni che le esagerazioni etilico-alimentari.
Per capire quanto fossero fruttuose queste tecniche di gestione del gruppo basti pensare che nel 1965/66 il Liverpool riconquistò il titolo di Campione d’Inghilterra utilizzando, nel corso dell’intera stagione, solo 14 giocatori, di cui due giocarono solamente una manciata di partite! Un anno prima (1965) Shankly portò ad Anfield la prima Coppa d’Inghilterra nella storia della società: nei 77 anni trascorsi dalla fondazione, il Liverpool aveva conquistato 6 titoli di Campione d’Inghilterra, una Lancashire League, due campionati di seconda divisione ed una Charity Shield, ma la FA Cup non aveva mai preso la via di Anfield. Fatali in questo senso erano state le sconfitte nelle finali del 1914 (0-1 contro il Burnley) e del 1950 (0-2 contro l’Arsenal). La finale “buona”, contro il Leeds, si disputò a Wembley il primo maggio 1965, un giorno che sarebbe entrato nella storia del club. Ci si attendeva una partita molto maschia e le attese non andarono certo deluse: dopo soli 9 minuti Gerry Byrne si fratturò l’osso del collo in uno scontro con Bobby Collins. Il difensore si guadagnò così il suo posto nella leggenda: non rendendosi conto dell’accaduto continuò a giocare per tutto il resto del match, supplementari compresi.
Dopo lo 0-0 dei tempi regolamentari, al terzo minuto del primo extra time l’equilibrio si spezzò: Roger Hunt raccolse l’invitante cross di Gerry Byrne, proprio lui, e di testa insaccò, facendo esplodere la metà rossa di Wembley. Billy Bremner pareggiò 8 minuti dopo, ma la coppa era destinata a finire finalmente nella bacheca di Anfield.
A 9 minuti dalla fine Ian St. John chiuse i conti con il goal del definitivo 2-1. Diverso fu l’esito della prima apparizione di Shankly e i suoi in Coppa dei Campioni: dopo aver eliminato KR Reykjavik (5-0; 6-1), Anderlecht (3-0; 1-0) e Colonia (per sorteggio, dopo che andata, ritorno e spareggio a Rotterdam erano finiti 0-0), il cammino dei Reds si fermò in semifinale di fronte all’Inter di Helenio Herrera. Dopo una sonante vittoria per 3-1 ad Anfield , nel ritorno al Meazza fu fatale per il Liverpool l’ingenuità del portiere Lawrence. Sull’1-0 per l’Inter l’estremo difensore scozzese si fece soffiare la palla dalle mani da Peirò, che insaccò a porta vuota il goal del 2-0. Il raddoppio nerazzurro ebbe pesanti effetti sul morale degli inglesi, aprendo la strada al 3-0 finale di Facchetti.
L’eliminazione subita contro l’Inter in ogni caso non cancellò quanto di buono i ragazzi di Shankly fecero vedere in quell’edizione del massimo torneo continentale: un “passing style” per quell’epoca del tutto atipico per una squadra inglese, una vera gioia per gli occhi dello spettatore, che caratterizzò i Reds nei decenni a venire, trovando, secondo molti, la sua massima espressione nella squadra allenata da Kenny Dalglish nella seconda metà degli anni ’80.
In quegli anni Shankly operava ad Anfield come un autentico direttore d’orchestra, in totale empatia con i fans. Dei Kopites egli sapeva cogliere perfettamente i sentimenti nei confronti della squadra, esaltandone di conseguenza l’orgoglio per le vittorie del club. Peraltro i successi da manager non ne mutarono i valori morali da figlio della Working Class. Agli astanti era solito dire che lo stile di gioco della squadra ne rispecchiava l’etica socialista. Quando uno dei suoi ragazzi stava giocando una brutta partita, Shankly si aspettava che i compagni di squadra lo supportassero, dandogli modo di uscire dalle situazioni di difficoltà, proprio come avrebbe fatto un minatore di Glenbuck con un collega. Il bene della squadra sempre al di sopra di tutto: i tifosi della Kop capivano perfettamente la filosofia semplice ma solida del manager e lo supportavano di conseguenza.
Il declino del grande team dei primi anni ’60 fu il prologo al secondo ciclo di Shankly nella Merseyside. Nel 1969 Hunt lasciò il club, seguito due anni dopo da St. John, Yeats e Lawrence.
Ad Anfield arrivarono nel frattempo Ray Clemence (1967), Larry Lloyd (1969), Steve Heighway (1970) e soprattutto Sua Maestà Kevin Keegan (1971). La striscia di successi continuò nel 1973 con una doppietta: all’ottavo titolo di Campioni d’Inghilterra fece seguito la conquista del primo trionfo continentale, la Coppa UEFA. I Reds avevano via via eliminato Eintracht Francoforte (2-0; 0-0), AEK Atene (3-0; 3-1), Dinamo Berlino (0-0; 3-1), Dinamo Dresda (2-0; 1-0) e Tottenham Hotspurs (1-0; 1-2). Contro gli Spurs furono due partite tiratissime e solo la regola dei gol in trasferta diede al Liverpool il lasciapassare per la finale contro il Borussia Mönchengladbach. L’andata ad Anfield era in programma per il 9 maggio, ma dopo 27 minuti l’arbitro fu costretto a sospendere il match causa impraticabilità del campo allagato.
La ripetizione ebbe luogo il giorno dopo: una doppietta di King Kevin ed il sigillo di Lloyd consentirono al Liverpool di allungare le mani sulla coppa. Forti del 3-0 dell’andata, i Reds entrarono in campo il 23 maggio al Bokelbergstadion di Mönchengladbach con relativa tranquillità. L’adrenalina però era destinata a salire: dopo 29’ Jupp Heynckes portò in vantaggio i tedeschi, concedendo il bis 11 minuti dopo. I ragazzi di Shankly negli spogliatoi all’intervallo dovettero fare i conti con un’inattesa paura, ma dopo un secondo tempo con il cuore in gola il capitano inglese Emlyn Hughes poté alla fine alzare il trofeo. L’anno successivo segnò il ritorno della FA Cup ad Anfield, dopo che a Wembley un Newcastle attonito aveva potuto fare da semplice spettatore ad una prestazione scintillante del Liverpool. Una doppietta del solito Keegan ed un goal di Heighway certificarono un trionfo strameritato.
Durante i festeggiamenti nessuno immaginava quello che sarebbe accaduto di lì a poche settimane: il 12 luglio Shankly convocò una conferenza stampa durante la quale annunciò il proprio ritiro dall’attività. Tutti sapevano quanto egli amasse il suo lavoro, per questo la notizia colse tutti di sorpresa, gettando nella disperazione larga parte della tifoseria. Da tempo chi gli stava vicino aveva però sentore di quanto la stanchezza e lo stress di guidare uno dei club più importanti del Regno stessero logorando i nervi di Shankly. Se a ciò si aggiunge il crescente desiderio di stare più vicino alla moglie ed ai nipotini, la decisione risulta molto più comprensibile.
Peraltro, subito dopo aver comunicato a tutti la propria decisione, l’ormai ex-manager se ne era immediatamente pentito: con l’arrivo di agosto e l’inizio della nuova stagione il richiamo del campo era più forte che mai e Shankly non era capace di resistervi. Spesso si presentava a Melwood, indossava gli “abiti da lavoro” e si allenava con i giocatori, i quali continuavano a chiamarlo “Boss”. Ciò creava evidenti difficoltà a Bob Paisley, il suo successore, che agli occhi della squadra si sentiva ancora un assistente. La situazione era pesante e molto difficile da gestire; il club non poté fare a meno di vietare a Shankly l’ingresso al centro di allenamento. I tifosi, che non erano a conoscenza di tutta la verità, pensarono che la società avesse semplicemente gettato via come una scarpa vecchia il manager che aveva portato una mediocre squadra di seconda divisione nell’elite del calcio inglese, oltre a far crescere nel proprio staff tecnico il futuro manager Bob Paisley. La soluzione avrebbe potuto essere la nomina di Shankly ad un prestigioso incarico dirigenziale; era però ben nota l’antipatia dell’ex-manager verso i “colletti bianchi” di ogni tipo, a partire dai proprietari delle miniere di Glenbuck fino ad arrivare ai dirigenti calcistici in senso lato, considerati da Shankly alla stregua di semplici affaristi che nulla avevano a che fare con il calcio inteso come pratica sportiva. D’altro canto la dirigenza del club vedeva come un incubo la prospettiva di ripetere quanto accaduto qualche anno prima a pochi km di distanza sulla M62, in casa Manchester United. In quel caso, la situazione creatasi dopo il ritiro di Sir Matt Busby aveva addirittura portato prima alle precoci dimissioni del successore Wilf McGuinness e poi addirittura, proprio nel 1974, alla retrocessione del club in seconda divisione!
Negli anni a venire Shankly divise le sue ore tra la compagnia dei propri famigliari, le partite dei ragazzini a cui spesso assisteva e le consulenze prestate a vari ex-colleghi. La vicinanza della propria abitazione con il campo di allenamento di Bellefield lo portò a stringere rapporti abituali con l’Everton, ovvero proprio con uno dei bersagli preferiti delle sue fulminanti battute degli anni d’oro. La tristezza ed il rimpianto del popolo di Anfield per come erano andate a finire le cose tra il club ed il suo storico mentore arrivarono al culmine nel 1981, quando Shankly morì senza che vi fosse stato nel frattempo alcun riavvicinamento. Con l’intitolazione a Shanks di uno degli ingressi allo stadio (il celeberrimo “Shankly Gate”, che appare anche nello stemma del Liverpool) il club pose un parziale rimedio a quanto accaduto.
Nel 1997 venne inoltre eretta una statua sotto la Kop, mentre la cittadinanza di Liverpool intitolò a suo nome alcuni campi da calcio situati nella via dove abitava ed utilizzati dai ragazzini del posto. Il più grande “monumento” a Shankly è però opera di Shankly stesso: le sue famose battute, alcune involontariamente umoristiche, altre piene di acume, mantengono ancora oggi viva la memoria di uno dei più grandi uomini di calcio che la storia ricordi.
Eccone alcune (in lingua originale, ogni traduzione sarebbe riduttiva):
“Of course I didn’t take my wife to see Rochdale as an anniversary present. It was her birthday. Would I have got married in the football season? Anyway, it was Rochdale reserves.”
“Some people believe football is a matter of life and death, I am very disappointed with that attitude. I can assure you it is much, much more important than that.”
“If Everton were playing at the bottom of the garden, I’d pull the curtains.”
“A lot of football success is in the mind. You must believe you are the best and then make sure that you are. In my time at Liverpool we always said we had the best two teams on Merseyside, Liverpool and Liverpool Reserves.”
“If you are first you are first. If you are second, you are nothing.”
“The trouble with referees is that they know the rules, but they do not know the game.”
(a Kevin Keegan ) : “Just go out and drop a few hand-grenades all over the place, son.”
(su Brian Clough, manager del Nottingham Forest) : “He’s worse than the rain in Manchester. At least the rain in Manchester stops occasionally.”
(a Tommy Smith, che cercava di spiegare che il suo ginocchio bendato era infortunato) : “Take that bandage off. And what do you mean about YOUR knee? It’s Liverpool’s knee!”
(in risposta a chi gli chiedeva se avesse passato un buon Natale) ‘Aye, not bad. We got 4 points out of 6.’
(a Tommy Smith) : “You son, you could start a riot in a graveyard.”
(a un giornalista che sosteneva che il Liverpool fosse in difficoltà) : “Aye, here we are with problems at the top of the league.”
(ad un traduttore che faceva da intermediario tra Shankly ed alcuni giornalisti italiani che gesticolavano molto): “Just tell them I completely disagree with everything they say!”
(ad Alan Ball, che aveva appena firmato per l’ Everton) : “Don’t worry, Alan. At least you’ll be able to play close to a great team!”
(un talent-scout parlava con Shankly a proposito di un giovane calciatore che aveva appena fatto un provino per il Liverpool): “He has football in his blood,” supplicava lo sconsolato talent scout. “You may be right,” disse Shankly “but it hasn’t reached his legs yet!”
(al funerale di Dixie Dean, ex-giocatore dell’Everton) : “I know this is a sad occasion but I think that Dixie would be amazed to know that even in death he could draw a bigger crowd than Everton can on a Saturday Afternoon.”
(ad un tifoso del Liverpool) : “Where are you from?” “I’m a Liverpool fan from London.” “Well laddie . . . . What’s it like to be in heaven?”
(a un giornalista negli anni ‘60) : “Yes, Roger Hunt misses a few, but he gets in the right place to miss them.”
(dopo un combattuto pareggio per 1-1) : “The best side drew.”
(dopo la nomina di Don Revie a C.T. dell’Inghilterra) “Christ, he's only 48 and he's gone into semi retirement already.”
(dopo uno 0-0 ad Anfield) : “What can you do, playing against 11 goalposts?”
(ai giocatori dopo il fallimento della trattativa per l’acquisto di Lou Macari): “I only wanted him for the reserves.”
(parlando con il comico Tommy Cooper nel backstage al London Palladium): “Bloody ‘ell Tommy, what size shoes do you take? I’ve sailed to Ireland on boats smaller than those.”